Da sempre conosciutissima voce della trasmissione “Il ruggito del coniglio” su Radio2, dove si prodiga in divertentissime imitazioni parodiche, è diventato celebre al grande pubblico televisivo partecipando alla fiction “I Cesaroni”.
Ma ben da prima, Giancarlo Ratti è, soprattutto, un validissimo attore teatrale che calca i palcoscenici dimostrando una totale versatilità e un grande rispetto per una professione che ne ha forgiato la vita.
Disponibilissimo e socievole, loquace, assolutamente simpatico (non si risparmia in numerose imitazioni), ma anche molto riflessivo, nel privato si definisce semplicemente un “cazzaro”.
Lo troviamo sul viale principale, mentre s’avvia verso il teatro e l’intervista inizia con un’inaspettata, quanto divertente, invettiva contro i trolley: “Scrivi che li detesto, io non ne ho mai avuto uno, né lo avrò mai, mi danno fastidio! L’umanità pensa ad andare in palestra, a fare spinning, ma se deve portare una borsa – “mio dio, che fatica” (imita una vocina sofferente, nda) – che cosa vuol dire? Porta una normale borsa a tracolla! Ormai il rumore di fondo è “trrrrrrr”. Inoltre il passo del trolley è lento, devi adeguati alla sua velocità, non a quella della tua gamba! A volte non riesci a scansarli, da tanti che ne hai davanti in stazione” (ride, nda)
Il tuo amore per il teatro è nato facendo il “valletto”; da cos’è nata la scintilla?
Madò… ma dove l’hai letta ‘sta roba? Ti sei documentato! La passione è nata prima, quella è stata una conseguenza. Il valletto ho cominciato a farlo perché prima il liceo dove studiavo era di fianco al teatro comunale della mia città, Rovereto. E quando andavo a scuola in bicicletta, dalla periferia al centro, vedevo parcheggiati i camion delle scene e sentivo delle voci, dall’accento spesso romano, che mi chiamavano – “Ahó, dacce’ ‘na mano a spostà ‘sta roba!” – per cinquecento lire. Poi, siccome mi vedevano in zona, mi proposero di lavorare anche in sala per guadagnare qualcosa e questo mi permetteva di vedere gli spettacoli…
Un colpo di fulmine giovanile, insomma! Cos’ha il teatro che da altre parti non trovi?
Rispetto alle altre forme di espressione – radio, cinema, televisione o doppiaggio – il teatro è sicuramente quella che preferisco perché è l’unica in cui la figura dell’attore ha il predominio su quella che è l’opera d’arte. Io, da attore, sono per riappropriarci della nostra centralità. Al cinema solo la star o il protagonista può intervenire sulla costruzione, tutti gli altri sono secondari, all’ultimo posto. È il regista il vero demiurgo del cinema.
Nel teatro è esattamente l’opposto: l’opera esiste per se stessa, ma – persi i grandi maestri del dopoguerra che firmavano indissolubilmente le loro produzioni – è modellata dagli attori in scena che diventano assoluti co-creatori.
Inoltre, il teatro è una partita vista sul campo che succede in quel momento, per il pubblico presente. Senza la forza dei presenti in sala il teatro non avviene: l’energia che passa dal pubblico al palco, e dal palco al pubblico, è un flusso intangibile, ma determinante, potentissimo.
Un’altra cosa affascinante del teatro è la sua immortalità, la capacità di sopravvivere a tutte le altre forme. Pensaci… da internet alla tv, al cinema, se manca l’elettricità salta tutto… ma per il teatro bastano poche persone, davanti a un fuoco, e una di queste che racconta qualcosa. Questo non è già teatro?
Possiamo proprio dire che la tua scuola è stata il teatro!
A Milano, da studente, c’era una proposta infinita e passavo il tempo da un teatro all’altro! “Scusi, sono un allievo della scuola di recitazione, potrei vedere lo sspettacolo?, facevo con una voce flebile e, tutti molto gentili, mi accoglievano a spettacolo iniziato. La sera dopo si ripeteva la scena e la sera dopo ancora… così, di certi spettacoli, al Piccolo, penso di aver visto anche trenta repliche! Ad uno spettacolo con Valentina Cortese sono stato addirittura una settimana, sera dopo sera. Alla fine, aspettavo che uscisse e lei “Ciao, caro… anche questa sera sei venuto…” (fa la voce da anziana dama aristocratica, nda).
Macinavo chilometri con i mezzi e tornavo a casa anche alle due! La mattina dopo dovevo alzarmi per andare all’università… col cavolo che ci andavo, dormivo! (ride e riprende in sottofondo l’imitazione della Cortese, nda).
Il momento prima di salire sul palco ed entrare in scena: che pensieri hai?
Mi fai una domanda che non mi ha fatto mai nessuno e mi dai modo di confessare una cosa. A me piace isolarmi, stare solo, meglio al buio. La penombra è la cosa che mi aiuta di più e, in quel quarto d’ora, chiamo a darmi una mano tutti gli attori con cui ho lavorato e che sono scomparsi.
Preferisci interpretare ruoli che ti assomigliano o che ritieni distanti?
Preferisco quelli diversi da me. È bello inventarsi qualcun altro. È per questo che a noi attori non interessa, non piace il carnevale… per noi carnevale è tutto l’anno!
Riesci a non recitare nel privato?
Ehhh… questo è un po’ difficile! Più che essere recitoso, nel privato vorresti essere al centro dell’attenzione. È una cosa che nasce da quando sei a scuola e fai il buffone della classe! Certamente non sono proprio uno che si prende molto sul serio… è un cazzeggio continuo!
Il teatro può essere anche una scuola per la scuola e una scuola per la vita?
Il teatro può essere una scuola, ma per la vita non mi sentirei di consigliarlo. È un mondo sano quanto gli altri, ma solo per diventare attore dove gli esempi dei grandi, e la gavetta che ti viene imposta, sono un momento utile e necessario.
È sicuramente un luogo di grandi incontri perché gli attori hanno una mente molto più avvantaggiata e allenata a ricevere e a dare informazioni e a leggere. All’inizio io stavo in camerino con attori più grandi di me che mi consigliavano cosa leggere – “Devi leggerlo se no sei un attore del c… e non sai cos’è la profondità” – e poi ti interrogavano. Sono i grandi incontri a teatro che ti formano, non è il teatro in sé.
Dopotutto, fuori non c’è un mondo di intellettuali! con i miei figli è una continua lotta per fargli leggere qualcosa. E non parlo di testi teatrali, ma dei grandi romanzi… (imita i mugugni dei figli, nda).
A teatro vedi il tuo pubblico, mentre alla radio o in TV non sai chi c’è ad ascoltarti; pensi mai a chi è il tuo pubblico?
No, preferisco di no. Anche a teatro preferisco gli spettacoli dove non si vede in platea, dove la luce sul palco esclude il resto.
Il pubblico del teatro lo percepisci e preferisco sentirlo al guardarlo.
Conoscerli proprio no… penso che, come in ogni cosa, sia bello il corpo unico. Preso singolarmente il pubblico su svilisce perché scopri la piccola umanità che c’è dietro ciascuno di loro, il perché della scelta di andare a teatro… per me è il pubblico, è questo e basta!
Dopo anni e anni, riesci ancora ad abbandonarti alle emozioni?
Oh, sì! A volte mi sono scontrato con qualche collega che sosteneva di stufarsi a dire sempre le stesse cose. Per me il processo è esattamente il contrario! Per me la cosa bella è dire nel miglior modo possibile, cioè il più vivo, il più emozionato, quelle parole, ogni sera… e non aver bisogno di variare per renderle più fresche di volta in volta! E ogni palcoscenico ha la sua dignità, in provincia come a Roma, perché questa sera, per le persone che vengono qui e che assisteranno solo a questo spettacolo, diventi importante e meritano lo stesso rispetto. Anzi, è quasi più bello arrivare qui e sapere che c’è della gente che si veste, che esce di casa e sceglie di non guardare la televisione o di andare da un’altra parte, ma decide di venire a vedere te! C’è un fatto di riconoscenza, altrimenti io sarei a casa o a pietire agli angoli della strada!
Tra poco ti vedremo nel cast del film “Volevo nascondermi” di Giorgio Diritti, in concorso alla Berlinale in questi giorni…
Sì, nella parte marginale di un critico d’arte. Per il set avevo preparato alcune frasi, ma senza sapere di cosa stavo parlando, in uno strano mix tra Sgarbi e Mughini… se tu prendi qualsiasi catalogo d’arte, nelle presentazioni ci sono sempre queste frasi che non capisci “Perché il segno, il tratto… ecco, come entra nel colore, il colore ti fa entrare nella tela di Ligabue”…” (imita il suo personaggio e gli altri sul set e ride, nda).
Nel mentre mi si avvicina uno dicendomi: “Oh, c’hai una bella voce, sei un attore? Hai fatto altre cose? No perché a saperlo anch’io faccio delle scenette qui vicino, perché hanno preso te?” (ride, nda). Insomma, il film completo non l’ho visto, ma mi sono ritrovato nel trailer e sono proprio curioso. L’unica cosa che posso dirti è che Elio Germano è veramente grandioso!
Giancarlo Ratti è stato ospite delle Stagioni teatrali 19/20 del Cicuito ERT FVG con lo spettacolo Mi amavi ancora… di Florian Zeller, prodotto da Artisti Associati e da Synergie Teatrali.