Uno sguardo di Omar Manini
Yutaka Takei è un coreografo-danzatore giapponese e nello spettacolo itinerante “L’uomo che disegna l’arcobaleno” riassume tutta la sua arte per donarla sia al mondo immaginifico dell’infanzia sia all’adulto, per aiutarlo così a recuperare lo stupore dell’ingenuità.
Takei dà corpo a un personaggio senza nome, vestito di tutto punto con giacca, cravatta e bombetta che volteggia quasi fluttuando nello spazio scenico insieme ad un ombrello rosso e, successivamente, ad altri “colleghi” di palcoscenico: un bastone da passeggio, un uccellino in carta origami, alcuni foulards variopinti, una valigetta magica.
Ed è proprio la magia, quella del “sogno ad occhi aperti”, che Takei insegue: tra linee disegnate in appoggio e in sospensione, si percepisce la cura maniacale nella cura del gesto e nel peso carico di significato delle pause, essenziali a ricreare una coscienza dell’attesa da cui sfocia la meraviglia delle piccole cose.
Takei regala un fiore raro, un antidoto al riempimento passivo – a tutti i costi – del nostro quotidiano, ci indica la sostanza del dettaglio a cui volgere lo sguardo. È uno spettacolo apparentemente fatto di niente, ma nel quale ci sta tutto: studio, dedizione, applicazione, competenze filosofiche, integrazione tra varie influenze culturali sia occidentali che orientali. Le parole sono relegate al commento musicale – estratti da “Over the rainbow” di Arlen/Harburg, “I’m singing in the Rain” di Freed/Herb Brown, brani di Joe Hisaishi e una formula giapponese presa in prestito da Mary Poppins.
“L’uomo che disegna l’arcobaleno” è danza contemporanea abbinata alla mimica con sostanziali influenze surrealiste: ciò che si vede non sempre è ciò che è, non anticipa la soluzione di ciò che succederà, ma è l’apertura di uno spazio mentale che va oltre la ricerca del significato certo delle cose e si nutre dell’impossibile che si fa reale. Uno spettacolo delicato, positivo, dove l’incantesimo è quello dell’emozione, non quello del trucco.
Il “piccolo” pubblico della scuola dell’infanzia, osserva questo alieno che viene dal “Paese dove si mangia pesce crudo” (cit.) con occhi rapiti e trasporto costante, incoraggiandone ininterrottamente i trattenuti virtuosismi. La maggior parte, estasiati, si lasciano trascinare, altri cercano di dare un contorno logico all’azione (“ha le rotelle nelle scarpe!) non rendendosi conto di aver perso così proprio l’attimo per volare via fino all’arcobaleno con Takei, nella sua inafferrabile e brillante bolla di sapone.
Yutaka Takei